Dipendenza da internet e hikikomori, dopo il 2020 nulla è più come prima

La psicologa Ciccarelli: il lockdown ha peggiorato situazioni già problematiche, alcuni non riescono a staccarsi dagli apparecchi e perdono il senso del tempo
Allarme isolamento, la sociologa Di Liberto: in molti si sono sentiti protetti in casa, per loro è un problema tornare alla normalità. La soluzione? I genitori si aprano al dialogo senza giudicare

«Dipendenza da internet e infelicità vanno di pari passo»: già la nona edizione del World Happiness Report, pubblicata a fine marzo 2020, denunciava come le dipendenze, anche da media digitali, stessero minacciando il benessere di milioni di cittadini americani. Non solo: l’indebolimento dei legami sociali, parallelo alla crescita dell’uso social media, causava ansia negli adolescenti. 

Nulla è come prima – La pandemia, oltre ad accrescere la digitalizzazione delle nostre vite portando quasi ad una simbiosi con i mezzi tecnologici, ha ridotto i contatti sociali dal vivo. I social media possono dunque sopperire temporaneamente all’assenza di contatti, ma è necessario che il loro uso sia consapevole. Grazie agli algoritmi, questi sistemi sono infatti in grado di identificarci in base ai nostri comportamenti, metterci in un target, e proporci contenuti che favoriranno una permanenza prolungata sulla piattaforma. Insomma, i social network ci conoscono meglio di quanto noi conosciamo noi stessi.

«La dipendenza si manifesta quando il ragazzo non riesce a staccarsi dall’apparecchio, che sia pc o cellulare, nemmeno per poco tempo, e perde il senso delle ore che passano. Ci si scorda anche di bisogni primari come quello di mangiare», spiega la psicologa Daniela Ciccarelli, specializzata in nuove dipendenze. Se i genitori intimano ai figli di smettere o li staccano con la forza, la reazione può essere molto violenta: «a volte è un litigio pesante, nei casi peggiori si arriva anche alle mani».

Il lockdown – La pandemia ha peggiorato una situazione già problematica. «Siamo stati chiusi all’interno delle nostre case, ma con una parvenza di non-isolamento creata dai mezzi di comunicazione – commenta Emanuele Florindi, avvocato dell’associazione Libertas di Margot di Perugia – tuttavia il problema grosso è che siamo comodi. Molti ragazzi durante il lockdown non si cambiavano nemmeno più, e dopo le ore di didattica a distanza si rimettevano a letto a fare i compiti. Questa routine è devastante per il cervello, perché lo ha abituato a restare in perenne stato di dormiveglia. Si sono diffusi i problemi del sonno, e l’inversione dei ritmi circadiani».

C’è anche chi ha detto no – «Ho incontrato adolescenti che adesso sentono ancor più la necessità di staccarsi da internet – racconta la psicologa Lucia Magionami – inizialmente il mezzo è stato un antidoto al malessere, ma presto è arrivata la disillusione. Ora mi dicono che passano qualche ora su Whatsapp per sentire gli amici, ma poi escono per incontrarsi dal vivo. Hanno trovato un nuovo equilibrio». Questo fenomeno, tuttavia, ha riguardato solo una piccola parte dei giovani, che già da prima cercava la socialità.

Gli hikikomori – Per i più introversi, al contrario, questo periodo è stato critico. «I ragazzi che già da prima avevano dei problemi durante la pandemia si sono adattati a un nuovo stile di vita», spiega Valentina Di Liberto, sociologa e presidente della Cooperativa Sociale Onlus Hikikomori di Milano. Con il lockdown, tra le mura di casa si sono sentiti protetti e, se già avevano delle tendenze all’isolamento, «hanno visto il rientro alla normalità come problematico». La reclusione volontaria, tuttavia, è una scelta ben precisa: si tagliano tutti i propri contatti con una società in cui non si sente di appartenere, e in questo caso internet, il cui uso non è necessariamente patologico, diventa l’unico legame con il mondo esterno.

La prevenzione – Spesso le dipendenze, come le tendenze a isolarsi, nascono da una percezione di inadeguatezza. L’immersione in un universo virtuale, in cui ci si può ricreare un’identità in grado di sopperire ai difetti percepiti nella realtà, assume quindi una valenza simbolica. «In una squadra, non possiamo pretendere che tutti siano attaccanti: i mediani e i giocatori in panchina sono altrettanto importanti. Ma se tu mi metti un mediano a giocare in punta, questi si sentirà un fallito per ogni gol sbagliato» conclude Florindi. A volte le aspettative della società sono un peso, soprattutto per i ragazzi, che quindi si rifugiano in un rapporto malato col mezzo tecnologico o nell’isolamento. La lotta per queste patologie passa dunque per il dialogo paritario tra genitori e figli e per una maggior tolleranza a livello sociale. La posta in gioco è alta: si tratta del benessere psicologico di una persona e della possibilità per i più giovani di esplorare con maggior fiducia il mondo reale, confrontandosi anche con idee diverse dalle proprie.

Autore

Ilaria Puccini

Nata a Pisa nel 1991. Laureata in Mediazione Linguistica e Culturale a Venezia, prosegue gli studi con una laurea magistrale in Relazioni Internazionali alla Renmin University of China di Pechino. Giornalista praticante del XV biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.