Teatri al buio, il Covid paralizza lo spettacolo a Perugia

La pandemia ha colpito la cultura: molte le piccole sale indipendenti rimaste chiuse in centro
Le voci dei gestori: «Abbiamo solo costi. Da questa crisi il teatro uscirà morto o trasformato»


«Esattamente un anno fa chiudeva il mio teatro. Oggi è il compleanno del teatro chiuso». Roberto Biselli parla con amara ironia. Era il 23 febbraio 2020 quando il governo adottò un decreto legge per chiudere teatri, sale cinematografiche, musei e altri luoghi di cultura. Quello che sembrava uno stop prudenziale e momentaneo si è trasformato in una delle crisi peggiori che il settore culturale abbia mai vissuto dal dopoguerra ad oggi. Biselli è direttore artistico della compagnia “Teatro di Sacco” dalla sua apertura, nel 1985, e gestisce la “Sala Cutu”, un piccolo teatro da 80 posti nel cuore del centro storico di Perugia. «Nel 2020 dovevamo festeggiare i 35 anni di storia della nostra compagnia, avevamo pensato ad una grande festa: tutto si è fermato» racconta con rammarico. 

Il teatro è carne – Mariella Chiarini, ex docente delle scuole superiori, ha deciso di donarsi completamente al teatro. La sua compagnia amatoriale, il “Canguasto”, è dedicata alle commedie dialettali perugine. Gestisce oggi una piccola sala, nel popolare quartiere perugino del Cortone, intitolata a Franco Bicini, scrittore morto nel 1988 che con lei aveva fondato la compagnia. «Abbiamo provato ad andare avanti con le prove dei nostri spettacoli – racconta Mariella – ogni settimana ci incontravamo online per discutere dei copioni e parlare dei testi con tutti gli attori». Ma non è la stessa cosa: «Il teatro è fisicità. E anche pensare di fare teatro in streaming è impossibile». Le fa eco Biselli: «Il teatro soffre perché è fatto di carne. Durante il lockdown, abbiamo realizzato qualche streaming ma così si perde una dimensione di necessità. Il teatro non può imitare la televisione o i video. Il teatro è altro.»

Spese e ristori – Mario Mirabassi ha 72 anni. Da 40 dedica la sua vita alla sua creazione, la compagnia “Tieffeu”, e gestisce il Teatro di Figura Umbro, una piccola sala in città da 98 posti. Il suo è teatro di marionette, ombre, figure. «Da noi venivano molte compagnie da ogni parte d’Italia, i nostri spettacoli sono per i bambini, le famiglie, le scuole». Da un anno, il piccolo teatro è chiuso. In estate, quando sembrava esserci un po’ di speranza e di respiro, ha organizzato spettacoli all’aperto. Ma nella sala, da un anno, i riflettori sono spenti. «Noi siamo professionisti, viviamo di teatro – racconta Mirabassi – i nostri attori sono ora in cassa integrazione straordinaria. Ci sono anche i ristori ma non sono come uno stipendio. Ho le bollette da pagare, la struttura da mantenere: ci sono solo costi. È una situazione drammatica: in 40 anni non avevo mai vissuto un momento così brutto». Anche Mariella Chiarini sostiene lo stesso. «Gestire un teatro è oneroso. Ho dovuto sospendere le utenze della struttura altrimenti, pagando le bollette senza introiti, avremmo prosciugato il conto corrente della nostra associazione».

Un teatro morto o trasformato – I gestori dei teatri sperano che presto si possa tornare alla normalità, con le sale di nuovo gremite dagli spettatori. «Molto dipende dalla efficacia delle vaccinazioni» dice Mirabassi. Per Biselli, servirebbe maggiore unione tra i teatri locali e una nuova intesa tra gli enti: solo così può risolversi la crisi. Secondo il direttore del Cutu, la drammatica situazione non è cosa nuova: la pandemia ha solo peggiorato le cose. «Il teatro, specie quello indipendente come il mio – conclude – è in crisi da tempo. Ora ha solo due possibilità: uscirne morto o trasformato». 

Autore

Marco Di Vincenzo

Nato a Tivoli il 25/09/1992. Laureato in Giurisprudenza all'Università "Sapienza" di Roma. Giornalista praticante del XV biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.