La rinascita – Aftab ha 30 anni, viene dal Pakistan e ha trascorso sei anni e quattro mesi della sua vita in carcere, a Perugia. La sua è una storia come quella di tanti altri: aveva un lavoro e tante speranze. Quando è stato licenziato dall’azienda di scarpe per cui lavorava, ha perso il permesso di soggiorno e in un momento di difficoltà ha fatto la scelta sbagliata: ha iniziato a spacciare ed è finito in prigione. Dietro le sbarre è arrivata l’opportunità che gli ha cambiato la vita. «Ho conosciuto una volontaria dell’associazione Papa Giovanni XXIII – racconta – mi è stata vicina e mi ha spiegato che potevo finire di scontare la mia pena in modo diverso». Aftab è andato ad abitare in una struttura della comunità e grazie ai volontari ha trovato un lavoro in un ristorante a Rimini: «Sono fuori da due anni e non voglio più tornare a fare la vita che facevo prima. Ora sono felice».

Aftab – ex carcerato
Sul territorio – Giuseppe Angelini è il referente della comunità Papa Giovanni XXIII in Umbria. Si occupa dell’accoglienza degli adulti, ascolta le persone in difficoltà e raccoglie le richieste di aiuto che arrivano dai servizi sociali e anche dalle carceri. «Cerchiamo di elaborare, insieme alle persone e a vari soggetti pubblici e privati, dei progetti che rispondano alle singole esigenze – spiega Giuseppe – e ci attiviamo per l’accoglienza residenziale nelle case famiglia, nelle case di accoglienza e nelle cooperative sociali».
La comunità – L’associazione internazionale Papa Giovanni XXIII è stata fondata nel 1968 da Don Oreste Benzi. Da anni è impegnata nel contrasto all’emarginazione e alla povertà. In Umbria è presente nelle carceri di Perugia, Spoleto, Terni e Orvieto. A contattarne i membri sono gli avvocati e gli assistenti sociali: «Ci chiedono di incontrare – racconta ancora Giuseppe – i detenuti che sono vicini al fine pena o che possono usufruire di misure alternative alla detenzione come la semilibertà, l’affidamento in prova ai servizi sociali o gli arresti domiciliari. Noi cerchiamo di dare una risposta alla loro richiesta di accoglienza». Dopo il primo contatto i volontari incontrano i detenuti in carcere o intrattengono con loro un rapporto epistolare che, dice Giuseppe, diventa spesso fraterno.
Fine pena mai – Non solo: la comunità incontra anche le persone condannate all’ergastolo, quelle per cui la detenzione non ha fine. Si cerca di essere vicini ai detenuti e alle loro famiglie per non abbandonarli a una condanna che non prevede il reinserimento sociale: «Proviamo a eliminare l’emarginazione di uomini che, a decenni di distanza dal reato commesso, sono persone completamente diverse» dice Giuseppe.
Il messaggio – La comunità propone agli ex detenuti un reinserimento che passa attraverso la ricerca di un’occupazione e la convivenza con i disabili a cui i volontari offrono assistenza. Vivendo insieme, detenuti e disabili si aiutano a vicenda: «Non c’è chi salva o chi è salvato, ma ci si salva insieme».