Il mal di carcere della polizia

Sovraffollamento degli istituti, costante sottorganico e rischio psicologico: è la vita degli agenti penitenziari. Registrate l'anno scorso 26 aggressioni, «ma il dato è sottostimato»
La denuncia dei sindacati: «L'Umbria è diventata la "discarica" dei detenuti problematici provenienti dalla Toscana». La replica del neo-eletto provveditore: «Non escludo che sia successo in passato»

Aggrediti, feriti, insultati e offesi. «Succede ogni giorno: questo vuol dire fare il poliziotto in carcere». Parla in modo pacato Claine Montecchiani, segretario del sindacato di polizia penitenziaria della Cgil. Negli ultimi sei mesi, in Umbria, si sono registrate almeno dieci aggressioni contro agenti di custodia, l’anno scorso ventisei. «Ma i dati sono sottostimati – sostiene Montecchiani – perché tengono conto solo degli episodi più gravi. Lavorare sta diventando insostenibile». A peggiorare le cose è arrivata la pandemia, che ha scatenato diverse rivolte in tutta Italia a causa delle misure restrittive prese per evitare il contagio.

Troppi detenuti, poche guardie – Nei quattro istituti penitenziari dell’Umbria lavorano 830 poliziotti, ma di norma dovrebbero essere più di mille. La mancanza di personale è peggiorata dal 2015, dopo che la c.d. legge Madia ha disposto un taglio del 10 per centro a tutte le amministrazioni pubbliche. «Viviamo in costante sottorganico. Il risultato è che i turni di lavoro, che dovrebbero durare sei ore, sono sempre più lunghi», lamenta Montecchiani. «A volte, un singolo agente deve badare a decine di detenuti. Questa è una bomba pronta a esplodere anche qui».

A sinistra, il carcere “Capanne” di Perugia. A destra, quello di Terni

“Discarica” Umbria – Da cinque anni, la gestione delle carceri dell’Umbria e della Toscana è stata accorpata in un unico provveditorato. Da allora, denunciano i sindacati, «l’Umbria è diventata la “discarica” della Toscana. È qui che sfollano molti dei detenuti problematici». La situazione è confermata anche dai rapporti dell’associazione Antigone: in tutti gli istituti dell’Umbria, il personale afferma che i frequenti trasferimenti di detenuti dalla Toscana «producono sovraffollamento, incrementano conflittualità ed eventi critici, rendono inefficaci e difficoltosi i percorsi di rieducazione». L’attuale provveditore carcerario di Umbria e Toscana, Gianfranco De Gesu, è entrato in carica da meno di quattro mesi. «Dati alla mano – afferma – non escludo che questa gestione dei detenuti possa essersi verificata in passato, in particolare l’anno scorso. Personalmente, sostengo il principio per cui un detenuto umbro debba stare in Umbria».

A sinistra, il carcere di Orvieto. A destra, quello di Spoleto

Caduti senza l’onore delle armi – In Italia, negli ultimi cinque anni, 40 agenti della polizia penitenziaria si sono tolti la vita. In Umbria, l’ultima volta, è accaduto nel novembre 2016, dentro la caserma del carcere di Capanne. L’uomo aveva quarant’anni. «Questi eventi non hanno quasi mai una sola causa e stabilirne l’origine a volte è impossibile», afferma Paola Gianelli, psicologa che per trent’anni ha lavorato nel carcere di Spoleto. «È certo però che la professione dell’agente di polizia penitenziaria è una delle più stressanti e a maggiore rischio di burnout. Può sembrare banale, ma immaginiamo si stare rinchiusi tutto il giorno dentro quattro mura, insieme al detenuto, senza aver commesso alcun reato. Non è forse logorante?».

La sindrome da burnout è un logoramento psicoemotivo. Se non gestito, può portare a una progressione del danno psichico e fisico che può evolvere fino al suicidio.

Mancato aiuto – Il problema è che per la polizia penitenziaria, al contrario di quanto succede per altre forze dell’ordine, non esiste un sistema di supporto psicologico. L’agente che subisce un’aggressione viene mandato a una commissione medica militare che, eventualmente, dispone delle cure. Ma sono casi marginali, e spesso gli agenti non denunciano il malessere per paura di essere definiti “non idonei” al servizio. In altre regioni sono stati definiti accordi con gli assessorati sanitari per fornire sconti sulle prestazioni psicologiche ma in Umbria, spiega il provveditore De Gesu, «nessuno dei miei predecessori è riuscito a creare uno strumento analogo». E così, il disagio che nasce da aggressioni, ferite, insulti e offese, il più delle volte, finisce nel silenzio.

Autore

Arnaldo Liguori

Nato a Genova nel 1992. Laurea triennale in Scienze Politiche. Laurea magistrale in Mass Media e Politica all'Università di Bologna, con una tesi di ricerca sulla disinformazione online in Italia. Ha svolto un periodo Erasmus a Vilnius, in Lituania. Oggi è giornalista praticante presso la Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.