Dimenticati nel limbo

In Italia i casi di cronaca sul fine vita mostrano come sia dibattuta la scelta di morire. Ma anche vivere può diventare una lotta: in Umbria ci sono un centinaio di persone in stato di coma persistente e non esistono strutture adatte alla loro assistenza
Il progetto di un centro di accoglienza dedicato è naufragato con la scorsa Giunta regionale, dopo gli scandali legati alla Sanità

Ventiquattro ore su ventiquattro bloccati a letto. Con l’alimentazione o l’idratazione artificiale, magari respirando aiutati da una macchina. Se qualcosa va storto, c’è’ poco da fare: ci vuole un medico. Sempre ventiquattro ore su ventiquattro. Una copertura che nessuna struttura pubblica in Umbria può garantire sul lungo periodo. E così circa settanta pazienti in questa condizione rimangono abbandonati a se stessi, in residenze inadeguate o a casa delle proprie famiglie.     


La lotta per l’assistenza – A trasformare il corpo in uno scafandro è il coma, sopraggiunto dopo un trauma, un ictus, una mancanza di ossigeno al cervello. In questa fase l’ospedale si fa carico dell’evento acuto e delle sue conseguenze, finché il paziente non si trova in condizioni stabili. Quando finisce il ricovero, comincia il calvario. «C’è poca attenzione nei confronti di questi malati, una volta usciti dalla neuroriabilitazione», spiega Marina Martorelli, che a Perugia ha fondato l’associazione “Mai Soli Onlus” per promuovere l’assistenza ai pazienti in stato vegetativo. Suo marito era uno di loro. In Umbria esistono Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) con medici e infermieri specializzati, ma accolgono i malati solo per alcuni mesi. In alternativa, ci sono le residenze protette, cioè gli ospizi. Le loro rette sono coperte dal sistema sanitario solo in parte: anche se costano almeno 1.400 euro al mese, sono prive di assistenza medica continuativa. E se i malati si trovano in difficoltà, non resta che chiamare il 118: «Questi pazienti sono speciali nella loro difficoltà sanitaria – prosegue – avrebbero bisogno di medici a disposizione per più tempo, o almeno di infermieri preparati a trattare questi casi, in grado di riconoscere le emergenze per tempo e dare l’allarme».


I 70 dimenticati in Umbria – Il dottor Mauro Zampolini dirige a Foligno la Rsa speciale che sopperisce in parte alla carenza di strutture con assistenza intensiva: «Ci sono una settantina di casi in Umbria che avrebbero bisogno di una Speciale unità di assistenza permanente (Suap) – spiega – una parte di loro viene assistita a casa, quando possibile, un’altra sfora i termini di ricovero negli ospedali, o viene distribuita nelle residenze sanitarie». E poi c’è la questione della fisioterapia, l’unica chance che i pazienti in stato vegetativo hanno per muovere il corpo, a beneficio delle articolazioni. «Nelle Rsa mancano il personale per farla e gli operatori sociosanitari, chi può viene trattato da operatori privati a casa», continua Zampolini. Di fronte a questa situazione, diversi umbri che hanno provato sulla propria pelle il dramma di un familiare in stato vegetativo si sono uniti all’associazione “Mai Soli” per chiedere alla Regione di istituire almeno una mini “Suap” con una manciata di posti letto. Il progetto è naufragato assieme alla scorsa Giunta regionale, travolta a metà 2019 dagli scandali della Sanità. I pazienti sono rimasti al palo: “Sanitopoli” l’hanno pagata anche loro, in silenzio.


Autore

Pierfrancesco Carcassi

Nato a Padova il 17 maggio 1990. Laureato in Lettere Classiche all'Università Ca' Foscari Venezia. Giornalista praticante presso la Scuola di Giornalismo di Perugia.