Coronavirus, l’Umbria in prima linea nella sperimentazione della terapia con il plasma

L’idea è quella di usare gli anticorpi contenuti nel sangue dei guariti per curare i nuovi casi
L’assessore alla sanità Coletto insieme al primario del Centro Trasfusionale Marchesi hanno deciso di percorrere questa strada

Curare polmoniti acute causate da Covid-19 utilizzando gli anticorpi dei guariti: è una delle cure attualmente più efficaci contro la pandemia e anche l’Umbria, insieme a Toscana, Lazio e Campania, sta sperimentando terapie basate sul plasma iperimmune. Già in passato con altre epidemie, quali per esempio Ebola, MERS-CoV e H1N1, l’uso di plasma prelevato da soggetti convalescenti sopravvissuti all’infezione ha avuto un ruolo terapeutico, soprattutto perché facilmente realizzabile e poco rischioso.

La cura al plasma sembra oggi essere una delle poche strade percorribili a livello di trattamento delle infezioni da Covid-19. I risultati appaiono molto promettenti, ma resta un problema: servono donatori. Il numero dei guariti sta aumentando, ma non tutti hanno nel sangue i giusti livelli di IgG (solamente il 30% di chi è guarito), secondo uno studio del San Matteo di Pavia), gli anticorpi necessari per sviluppare il plasma. Inoltre un singolo donatore può aiutare in media circa una o due persone al massimo a causa della diminuzione progressiva delle immunoglobuline nel sangue, che rende il plasma non più utilizzabile.

LA TERAPIA – Tutto comincia con il prelievo del sangue da un soggetto che ha in precedenza contratto il Covid-19. Successivamente si passa alla plasmaferesi, ovvero il procedimento tramite il quale viene estratto il plasma, la componente liquida del sangue (circa il 55%), nella quale è sospesa la parte corpuscolare. La plasmaferesi avviene tramite una centrifuga che porta il siero a separarsi dalla parte solida.

A questo punto il plasma viene sottoposto a una serie di test, previsti dalla legge italiana, per evitare che eventuali patologie del donatore vengano trasmesse al ricevente. Una volta accertato che il liquido è sicuro, viene infuso nel paziente affetto da Covid-19 e nel giro di poche ore si possono già osservare dei miglioramenti. 

LE PRIME SPERIMENTAZIONI – In Italia si è cominciato a sperimentare la terapia verso la fine di marzo con l’arrivo del primo team di medici cinesi da Wuhan, dove si era già tentato questo approccio. Oltre ai respiratori, gli specialisti cinesi hanno portato con loro i risultati di questi studi. Successivamente la sperimentazione viene approfondita dal Policlinico San Matteo di Pavia in collaborazione con diverse strutture lombarde, tra cui il Carlo Poma di Mantova. Lo studio si è concluso il 29 aprile e ha dato risultati incoraggianti, anche se i dati sono tuttora in fase di analisi. Ora la collaborazione si è estesa a numerosi altri centri in tutto il Paese, compreso l’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia. Le varie sperimentazioni verranno poi confrontate per arrivare ad un protocollo comune di trattamento.

L’ASSESSORE ALLA SANITÀ – L’Assessore alla Sanità della Regione Umbria Luca Coletto si è detto molto fiducioso a riguardo. “La possibilità di ottenere immediatamente l’immunizzazione contro agenti infettivi somministrando anticorpi specifici – ha detto Coletto – potrebbe essere la soluzione”. Sia l’Università che l’Ospedale di Perugia stanno infatti investendo numerose energie per capire se questa tecnica possa combattere il Covid-19, in assenza di farmaci mirati. “Risultano già pubblicate esperienze preliminari incoraggianti – aggiunge Coletto – e la speranza è che anche Perugia possa dare il proprio contributo in questa direzione”.

IL PRIMARIO – “Siamo ancora in fase di studio e i report coinvolgono un numero contenuto di pazienti, ma i riscontri sono positivi” ci spiega il Prof. Mauro Marchesi, primario del Centro Trasfusionale dell’Ospedale di Perugia. Quello portato avanti anche nella nostra regione è uno studio multicentrico promosso inizialmente dall’ospedale di Pisa e che ha l’obbiettivo di creare una banca del plasma, utilizzabile in caso di una recrudescenza della patologia nei prossimi mesi. “Questa immunoterapia passiva – aggiunge Marchesi – può essere la strada giusta per combattere l’infezione da virus Sars-Cov-2 che è attualmente una grave emergenza mondiale e per la quale ancora non esiste un trattamento specifico di provata efficacia”. Se si riuscisse a realizzare una produzione industriale di plasma di fatto si avrebbe una cura per l’attuale pandemia. “Produrre in laboratori gli anticorpi su larga scala è fondamentale – spiega Marchesi – perché senza questa procedura l’alternativa per produrre anticorpi sarebbe solo quella di far ammalare il maggior numero di persone, con tutti i grandissimi rischi che questa strategia comporterebbe”.

I DONATORI – La Regione Umbria e il Centro regionale sangue hanno anche lanciato un appello per trovare donatori. I requisiti sono: aver contratto l’infezione ed essere guariti con almeno 2 tamponi negativi ad attestarlo, che siano trascorsi almeno 14 giorni dall’esito negativo del secondo test, avere un’età non superiore a 60 anni e, per le donne, non aver mai partorito.

I soggetti interessati a partecipare al progetto, possono prendere contatto con il Centro Trasfusionale dell’Azienda Ospedaliera di Perugia.

Autore

Luca Marroni

Nato a Perugia il 02/08/1992. Laureato in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Perugia. Giornalista praticante del XIV Biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.