Riders a rischio Covid, un piatto servito freddo

Boom per le consegne di cibo a domicilio ma i fattorini denunciano: "Durante il lockdown siamo stati abbandonati"
La Procura di Milano indaga sui ritardi delle aziende di food delivery nella consegna dei dispositivi di protezione individuale ai lavoratori

SENZA TUTELA? – Nelle settimane del lockdown per le strade deserte delle città italiane giravano solo loro, i riders. In motorino, in auto o in bicicletta: con ogni mezzo i fattorini hanno continuato a consegnare cibo a domicilio nonostante l’emergenza Coronavirus. Sul rischio biologico da Covid-19 per i riders durante la “fase 1” la Procura di Milano ha voluto vederci chiaro e la relazione consegnata, a inizio mese, dai carabinieri del NIL – nucleo ispettorato al lavoro – al pool di magistrati è severa. Alcune società di food delivery non avrebbero aggiornato il documento sulla valutazione dei rischi (Dvr) nelle prime fasi dell’emergenza mancando di fornire ai lavoratori i dispositivi di protezione individuale come mascherine, guanti e gel sanificanti. Promossa solo un’azienda che ha inviato ai lavoratori un “kit” di protezione mentre un’altra – si legge nelle carte dei militari – al momento dell’ispezione è risultata irreperibile. Luca (nome di fantasia) fa il rider a Perugia da sei mesi: “All’inizio del lockdown i dispositivi di sicurezza personale ce li siamo dovuti comprare noi – dice – loro non ce li hanno forniti. Dicevano che ce li avrebbero rimborsati sulla busta paga, il problema è che il rimborso veniva poi tassato del 20%. Dopo scioperi e proteste sui social le prime mascherine sono arrivate ma era già aprile inoltrato”.

RIMBORSI DIFFICILI – Tempistiche a parte, il nodo resta l’inquadramento sulla figura del rider: molti di loro figurano come lavoratori autonomi con la partita Iva che offrono una prestazione occasionale per le aziende di food delivery. E però secondo la legge sui riders approvata dal Parlamento lo scorso novembre, le aziende devono pagare l’assicurazione Inail anche ai lavoratori autonomi, fattorini inclusi. “Le piattaforme hanno fatto finta di niente – commenta Angelo Avelli del collettivo Deliverance Milano – hanno messo a disposizione dei lavoratori dei rimborsi da 25 euro ma non si riesce a goderne perché se nello scontrino della farmacia appare il generico “prodotti medicali” loro non lo rimborsano”. E aggiunge: “Deve esserci scritto esplicitamente mascherina, guanti, gel e di certo non è facile andare ogni volta in farmacia per chiedere di battere uno scontrino con le voci specifiche. Dopo uno sciopero, a fine marzo, il Comune di Milano ha fornito, in una settimana, 700 kit di dispositivi di protezione ai lavoratori attivi sul territorio. Le aziende ne hanno dato comunicazione ma solo in italiano, tagliando fuori gran parte dei fattorini stranieri e senza specificare presso quali sportelli comunali era possibile ritirarli. Mohamed (nome di fantasia) da due anni fa il rider a Saronno, comune nell’hinterland milanese e, consegnata una pizza, ricorda quelle settimane: “Durante la fase 1 mi sono attrezzato prendendo i dispositivi per conto mio – racconta – in alternativa bisognava compilare un modulo apposito e andare fino a Milano per il ritiro: troppo complicato con il lockdown”.

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quattrocolonnenews · Tutele, il racconto del rider

LA SITUAZIONE OGGI – Sul fronte dei dispositivi oggi tutti i riders sembrano coperti ma – denunciano le associazioni di categoria – le consegne restano sporadiche e molti lavoratori si trovano ad indossare la stessa mascherina per oltre due settimane. Progressi sono stati fatti sul metodo di consegna come il sistema contactless (senza contatto): le prenotazioni vengono accettate solo per via telematica e la consegna del cibo al piano mantiene la distanza di sicurezza di un metro tra fattorino e cliente. Il pagamento in contanti era stato eliminato durante la fase più critica dell’emergenza Covid, recentemente però alcune aziende lo hanno ripristinato. Con la riapertura dei ristoranti poi un altro rischio per i riders è rappresentato da file e assembramenti. I lavoratori hanno chiesto l’impiego di personale per il controllo delle file davanti agli ingressi, come già avviene in una nota catena di fast food, il gel sanificante ad uso esclusivo dei fattorini e l’obbligo di guanti e mascherine per il personale delle cucine che confeziona il cibo. Più in generale l’emergenza sanitaria ha messo in evidenza l’esigenza di giungere alla definizione di un contratto nazionale per la categoria dei ciclofattorini: formazione professionale, tutela sui licenziamenti, forme di congedo per malattia, infortuni, gravidanza e rappresentanza sindacale. A fine gennaio una sentenza della Corte di Cassazione dopo il “caso Foodora” ha stabilito che ai riders va garantita un’assicurazione contro gli infortuni al pari di qualsiasi lavoratore dipendente. Molte piattaforme di food delivery si basano però ancora sul sistema del cottimo per cui “più lavori più guadagni”. Il fattorino costretto a fermarsi a causa di un’infortunio viene penalizzato e molti preferiscono tacere per il timore di non ricevere più ordini. “La settimana scorsa ho preso una storta in casa,  – racconta Angelo – non avendo comunicato immediatamente l’infortunio sulla piattaforma ho perso tutte le ore della settimana dopo”. La fase 2 è ormai partita ma per i riders una strada sicura sembra ancora lontana. 

Autore

Claudio Agrelli

Nato a Saronno (Varese) il 1° agosto 1991. Laureato magistrale in Scienze Politiche - Mass Media e Politica presso Alma Mater Università di Bologna, campus di Forlì. Giornalista praticante del XIV Biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.