Mascherine per tutti: dubbi e ostacoli del nuovo feticcio mondiale

Tra confische e incertezze, la distribuzione capillare del prodotto si annuncia un’impresa
Matteo Monni ne ha donate 80mila in tutt’Italia: «Un onore, ma la nostra burocrazia è insostenibile»

«Fino alla terapia e al vaccino, mascherine per tutti». Dopo l’informativa al Senato del premier Giuseppe Conte, il 21 aprile, abbiamo capito che i dispositivi di protezione individuale saranno un elemento del nostro quotidiano. «Uscire senza sarà come andare in motorino e non mettere il casco», ha aggiunto il governatore del Veneto Luca Zaia, che le ha già rese obbligatorie secondo l’esempio di Toscana e Lombardia. Nella fase 2, dunque, toccherà abituarsi non solo al distanziamento fisico e a tante rinunce, ma anche al mutamento della “fisionomia sociale” dei nostri volti.

Dietro la maschera – Per tre mesi questo nuovo oggetto del desiderio è stato al centro di dilemmi e incertezze. A febbraio la corsa alle mascherine veniva descritta come “psicosi”, e chi cominciava a indossarle come ipocondriaco. Poi, lentamente, la situazione si è ribaltata, ma nel frattempo le scorte delle farmacie erano finite quasi ovunque. In tutto ciò, emergevano le opinioni contrastanti della comunità scientifica, a partire dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che a inizio aprile ne ha messo in dubbio l’efficacia per chi le indossa, sottolineando anzi i rischi del «falso senso di sicurezza che potrebbero creare, tale da spingere a comportamenti meno accorti». Al fine di evitare una domanda eccessiva e insostenibile del prodotto, poi, l’Oms ha invitato all’uso delle mascherine solo il personale sanitario, i malati e i loro prossimi, scatenando critiche, distinguo e dubbi non ancora fugati.

Foto di Orna Wachman

La scelta – Queste raccomandazioni sono state pensate per paesi in pieno lockdown, ed è probabile che l’Organizzazione Mondiale della Sanità diffonda nuove linee guida in vista delle “riaperture” delle zone colpite dalla pandemia. In ogni caso, per ora l’Italia ha deciso di sposare l’approccio più prudente, accarezzando l’idea di un obbligo generalizzato del dispositivo fuori casa o nei locali. Il che, detta così, sembra facile, ma è un enorme problema per un prodotto finora distribuito in misura di migliaia e diventato in pochi giorno di massa. Prima della pandemia di Coronavirus, il mondo produceva circa 40 milioni di mascherine al giorno, di cui la metà in Cina. Secondo le stime della Protezione civile, nella fase 2 solo in Italia ne serviranno circa 300 milioni al mese. Per il Politecnico di Torino addirittura 950. Le troveremo?

Nodo Dragone – Finora la scarsità dell’offerta di mascherine è stata facilmente spiegabile con l’impennata improvvisa e inaspettata della domanda e con la difficoltà per l’Italia di intensificare la produzione nel breve periodo. Ma ci sono altri motivi che hanno complicato (e complicheranno) la situazione, nonostante la corsa ai ripari e le numerose riconversioni aziendali. La Cina, per cominciare, il primo aprile ha emanato una legge che consente l’esportazione solo a fabbriche con licenza per prodotti “biomedicali”, riducendo la capacità produttiva dei suoi stabilimenti. Per di più, molti colossi cinesi del settore sono già impegnati con importatori esteri che si sono mossi prima dell’Italia, il che renderà difficile per il nostro paese innescare nuovi accordi di fornitura. La Cina, tra l’altro, attualmente è l’unico paese del mondo a produrre il materiale filtrante “melt-blown”, che consente la depurazione dell’aria sia in entrata che in uscita.

La confisca – A limitare la diffusione delle mascherine è stata anche, paradossalmente, la possibilità per il Governo di confiscare gli oggetti utili a contenere la pandemia, prevista dal decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020. La norma sancisce che le merci requisite siano pagate al costo del 31 dicembre 2019, quindi «senza tener conto – recita l’art. 6 – delle variazioni dei prezzi». Ciò ha spinto molti professionisti a interrompere le importazioni dall’estero per evitare il rischio di subire confische e quindi perdite.

Foto di Emanuela Rogaia

Un ponte solidale – Matteo Monni è il fondatore della società di design e import-export “Munus International”, sede a Perugia e affari in tutto il mondo. Lavorando da sempre con aziende cinesi, e per rispondere alla loro volontà di donare mascherine all’Italia, ha deciso di creare un ponte con l’Oriente per organizzare una massiccia rete filantropica di distribuzione dei dispositivi. Senza nessun clamore mediatico, finora è riuscito a consegnarne quasi 80mila, divise fra comuni, ospedali, fondazioni, enti e privati. «È stata un’epopea – racconta l’imprenditore – perché c’erano poche regole e sul lato della logistica nessuno sapeva davvero cosa fare, dai volontari della Protezione civile agli agenti delle dogane. Ma è stata anche un’esperienza bellissima che ci ha arricchito come persone e come professionisti». Nelle ultime settimane in azienda sono rimasti lui e una collaboratrice, Helenia Paparelli: praticamente stanno lavorando solo per gestire le donazioni.

Burocrazia – Di fronte alle richieste di aziende e supermercati, dopo una complessa trafila Monni è riuscito ad avere dal Ministero della Salute anche i permessi per la commercializzazione. «Oltre al problema della confisca – denuncia – abbiamo una burocrazia insostenibile. Decine di documenti, allegati, moduli da compilare, norme incerte che cambiano di continuo. Milioni di dispositivi di protezione sono stati bloccati da questo sistema». Per l’imprenditore le mascherine dovrebbero essere rese disponibili nei supermercati. «Se davvero subentrerà l’obbligo generale, bisogna utilizzare i corrieri, tenuti incomprensibilmente in panchina, controllare i prezzi e consentire anche ai privati una diffusione capillare di questi beni». Quando l’emergenza sarà davvero finita, conclude con un sorriso amaro, «se avrò ancora delle mascherine in magazzino farò un grande falò, perché sono quanto di più lontano dalla nostra cultura». Ma quel momento appare lontano e, per adesso, Matteo continua notte e giorno a regalarle.

In copertina: “La ragazza con l’orecchino”, l’opera di Banksy realizzata nel 2014 a Bristol, in Inghilterra. Un autore ignoto ha aggiunto una mascherina.

Autore

Giovanni Landi

Giovanni Landi è nato ad Agropoli nel 1990. Laureato in Giurisprudenza, è dottore di ricerca in Scienze Giuridiche. È giornalista praticante presso la Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.