Ingv, una storia che parte da lontano

L' Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia nasce nel 1999
Origini ed evoluzione dell’ente italiano di ricerca che ha scoperto il magma sotto l’Appennino

Le origini – L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) nasce nel 1999 dalla fusione di cinque prestigiosi istituti che allora operavano nell’ambito delle discipline geofisiche e vulcanologiche: l’Istituto Nazionale di Geofisica (nato nel 1930 su proposta di Guglielmo Marconi), l’Istituto Internazionale di Vulcanologia di Catania (IIV), l’Istituto di Geochimica dei Fluidi di Palermo (IGF), l’Istituto di Ricerca sul Rischio Sismico di Milano (IRRS) e l’Osservatorio Vesuviano (inaugurato nel 1841 dal re delle due Sicilie Ferdinando II di Borbone).
Una foto antica dell’Osservatorio Vesuviano

I settori di ricerca – «Il nostro istituto ha tre branche di ricerca principali», spiega il geofisico INGV Guido Ventura. «La prima è quella geofisica, che si occupa della sismologia e delle deformazioni crostali, di geologia di terreno e di geologia storica. La seconda è dedicata alla vulcanologia nei suoi vari aspetti: osservazionale e di acquisizione continua di dati. Il terzo settore, invece, si occupa di ambiente, cioè di fisica di atmosfera e di prospezioni geofisiche. In sostanza tutti quei metodi che servono a capire come è fatto il sottosuolo».
Ma oltre a queste attività, c’è quella, non meno importante, del monitoraggio. «Il primo è il monitoraggio sismico e geodetico – continua Ventura – quello che riguarda le attività sismiche sul territorio nazionale e le deformazioni. Il secondo è il monitoraggio vulcanologico che si occupa della zona dei Campi Flegrei, dell’Etna e delle Isole Eolie».

L’ultima scoperta e i possibili scenari- L’ultimo studio del dipartimento di Fisica e Geologia dell’Università di Perugia in collaborazione con l’INGV ha portato alla scoperta di una sorgente di magma nell’area del Sannio Matese capace di generare terremoti molto forti. «Questa scoperta – precisa Guido Ventura – oltre ad aprire degli scenari che sono di forte interesse per la comunità scientifica, potrebbe avere dei risvolti anche per quanto riguarda la formazione del petrolio. La presenza di magma nella crosta crea un’anomalia termica che permette al petrolio di maturare in fretta e di essere industrialmente sfruttabile in tempi estremamente ridotti. Si parla di decine di migliaia di anni rispetto alle migliaia di anni che servono solitamente». Una possibilità che ha stuzzicato immediatamente diverse compagnie petrolifere come la Ypf argentina o la Petrobras spagnola, che hanno subito contattato l’Istituto per saperne di più.

Autore

Chiara Jommi Selleri

Nata a Bologna il 13/10/1988. Laureata in Informazione, Editoria e Giornalismo. Giornalista praticante presso la Scuola di Giornalismo di Perugia.