Essere o non essere (un tutt’uno con il proprio smartphone)?

Piccolo, comodo, alla moda, dotato di tutto il sapere. Proviamo ad analizzare vizi e virtù di quello che è diventata un’estensione del nostro copro: lo smartphone. Proviamo a capire se si tratta di un pericolo o di un’opportunità

Primo flash. Simone, 24 anni, muore andando a sbattere con un albero dopo aver perso il controllo del suo motorino. Mentre Simone giace a terra arriva un altro giovane, Andrea, che si ferma, prende il telefonino e inizia a trasmettere in diretta ciò che sta accadendo. “Chi mi segue chiami aiuto”, scrive.
Secondo flash. Josuè Ortega dell’università dell’Essex e Philipp Hergovich dell’università di Vienna hanno realizzato, con rigore scientifico e strumenti statistici, uno studio dal titolo The Strenght of Absent ties: Social integration via Online Dating. Lo studio sostiene una tesi sorprendente: negli Stati Uniti i rapporti nati in rete sono ormai un terzo di tutti i matrimoni americani, ma sono anche sempre più inter-razziali. Il luogo da cui nascono questi incontri sono per lo più app di dating.
Questi due flash dalla cronaca recente sono esempi estremi di ‘deriva’ dell’utilizzo dello smartphone. Nel mezzo ci sono i bambini, adulti, anziani, neonati che utilizzano lo strumento ogni giorno, in modo più o meno corretto. Si occupa anche di questo fenomeno la cyberpsicologia: disciplina di recente nascita che studia i comportamenti e gli aspetti psicologici dell’uomo nell’interazione con la rete.

Il quadro offerto dalla dottoressa Bruno è variopinto. L’oggetto di questa indagine: lo smartphone, ha un profilo mutevole. Stimolo positivo per il cervello, strumento utile per combattere la solitudine e allo stesso tempo produttore di alienazione, nemico dell’empatia. Se da un lato è più facile entrare e rimanere in contato con il prossimo, dall’altro diventiamo più portati a relazionarci attraverso lo schermo rispetto a un tipo di relazione frontale. Disimpariamo a valutare quello che è il linguaggio non verbale, quelle che sono le emozioni che poi traspaiono nel viso dell’altro. “Siamo un po’ meno empatici- dice la Bruno- questo è ciò che noi rileviamo a livello psicologico”. Il segreto, per la dottoressa, sta nel limitare l’uso: far sì che la vita virtuale non escluda quella reale.
In una sorta di patto tra genitore e figlo: “Ti lascio lo smartphone tot ore al giorno, purchè insegni ad usarlo anche a me”.

Autore

Michele Bonucci

Nato a Perugia il 28/08/1990. Laureato in giurisprudenza, Erasmus all’Universidad Rey Juan Carlos di Madrid. Praticante della Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia.