Grand Tour Umbria

Le mete del viaggio di poeti e artisti a secoli di distanza
Cascata delle Marmore, Fonti del Clitunno, Ponte di Augusto, sono solo alcuni dei luoghi umbri di un turismo sospeso nel tempo.

Dopo aver distrutto case e messo in ginocchio aziende, commercianti e allevatori, il terremoto ha colpito anche il turismo. L’Umbria ha già registrato un crollo del 30% dei visitatori, molti dei quali si trovano spesso a evitare anche zone che non sono state colpite direttamente dal sisma. Un controsenso se si pensa che questa regione, in questo momento, dovrebbe essere aiutata più di altre per le medesime ragioni per cui è invece evitata. Ma chissà come la si immagina dal di fuori. Impegnati a narrare le macerie, a volte dimentichiamo di raccontare quel che resiste in piedi e sopravvive ai secoli e ai terremoti. Dimentichiamo ad esempio di raccontare che proprio queste terre furono tra le mete che diedero origine alla stessa parola ‘turismo’.

Dapprima lo chiamarono Grand Tour – Erano per lo più ricchi di buona famiglia, aristocratici, insomma i pochi che all’epoca potevano permettersi il viaggio fine a se stesso. Inventarono il Tour, qualcosa che non era mai esistito prima e che un giorno sarebbe diventato quel fenomeno di massa che oggi ha guadagnato il nome di turismo. Ma i giovani del XVII, XVIII e XIX secolo non giravano per le capitali d’Europa con una polaroid al collo, avevano con sé pennelli, tavole, penne e quaderni. Non raggiungevano le grandi città istantaneamente con un aereo; vi arrivavano lentamente, dopo lunghi viaggi. Si chiamavano Goethe, Byron, Corot, e ammiravano le bellezze umbre: dalle Fonti del Clitunno, alla Cascata delle Marmore; dal Ponte delle Torri a Spoleto, al Ponte di Augusto a Narni.

Un ponte con il passato – Da sempre emblematico, al contempo maceria e bellezza artistica. Il Ponte di Augusto risale al 27 a.C. quando sosteneva 160 metri della strada consolare Flaminia sopra il fiume Nera. La grande arcata centrale crollò attorno all’anno mille, ma quel che rimase, incorniciato da una valle rigogliosa, fu uno scenario poetico che continuò ad incantare chiunque vi si imbattesse. Innumerevoli gli artisti che lo ritrassero, fino a Jean Baptiste Camille Corot che nel 1827 lo raffigurò in una tela ora esposta al Louvre.
L’arco del ponte interrotto, grazie alle opere di restauro e a una manutenzione costante, ha resistito intatto e può essere ammirato ancora oggi. Certo adesso è il paesaggio a esser cambiato. Sullo sfondo, più alta del ponte, svetta una ciminiera bianca e rossa, come a ricordare che in fin dei conti la natura è sempre più clemente dell’uomo verso l’arte.

Autore

Nicola Campagnani

Nato a Narni (TR) il 25 settembre 1990. Laurea triennale e magistrale in Filosofia all'univestità La Sapienza di Roma. Dal 2016 è praticante presso la Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.