Economia della (con)divisione

Non solo scambi, la sharing economy genera anche oppositori
Utenti e introiti delle piattaforme digitali crescono. Ma in mancanza di regole, i critici parlano di concorrenza sleale

Tassisti contro Uber, albergatori contro Airbnb, ristoratori contro Gnammo e EatAround. La rivoluzione della sharing economy (economia della condivisione) ha risvegliato un potenziale male italiano: il corporativismo. Il successo delle piattaforme digitali che mettono in rete domanda e offerta di passaggi in auto, breve ospitalità in casa, piccoli lavori e condivisione di oggetti e passioni, ha generato un senso di accerchiamento e vessazione, in alcuni casi con rigurgiti luddisti, da parte di chi, questi stessi servizi, finora li ha offerti in maniera centralizzata e a volte esclusiva.

The great gig in the share – Per capire cosa si intende quando si parla di share economy, occorre anzitutto tracciare una fondamentale distinzione. Un conto è condividere la propria auto con altre persone che devono fare il mio stesso tragitto, un altro è mettersi al volante per portare da un punto all’altro della città un passeggero che si prenota via app. Se organizzo una cena-evento a casa, condivido il piacere di cucinare e della conversazione a tavola; altra cosa è portare del cibo dal ristorante a casa di chi lo ha ordinato dal proprio smartphone. L’annuale rapporto italiano realizzato da Collaboriamo.org e Trasformative Actions Interdisciplinary Laboratory (TRAILab) definisce come “piattaforme collaborative” quelle basate sul peer-to-peer (ossia su un rapporto diretto tra chi domanda e offre un servizio), che consentono lo scambio o la condivisione di beni, oggetti, denaro e spazi senza stabilire il prezzo delle transazioni e senza selezionare il personale. Foodora e Uber sono fuori da questi criteri e rientrano piuttosto nella galassia della gig economy. L’economia “dei lavoretti” coinvolge, infatti, individui che perlopiù intendono integrare il proprio reddito con prestazioni occasionali e on demand attraverso piattaforme e app, ponendo serie questioni sull’inquadramento giuridico di questi lavoratori e le relative tutele da garantire.

Disciplinare la condivisione – Che l’economia digitale scuota in maniera brusca il mercato lo ha rilevato anche il presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Giovanni Pitruzzella. Nella presentazione della Relazione Annuale 2016, Pitruzzella ha sottolineato che la sharing economy «allarga le possibilità di scelta del consumatore, offre servizi innovativi e differenti da quelli dei mercati tradizionali, permette di impiegare risorse che altrimenti sarebbero inutilizzate, abbatte i prezzi, consente l’accesso a determinati servizi da parte di fasce di consumatori che non fruiscono dei servizi tradizionali». E pur evidenziando i nuovi problemi che sorgono, tassazione e tutela del consumatori su tutti, l’Antitrust italiana è impegnata a rimuovere i tanti ostacoli che stanno incontrando queste attività economiche, ammonendo che non possono essere semplicemente estese le regole esistenti per i servizi più tradizionali, ma va introdotta una legislazione leggera, in modo da creare solo le norme che tutelino fondamentali interessi pubblici. Indicazioni simili sono giunte al Parlamento Europeo e agli Stati membri dell’Unione Europea da parte della Commissione Europea. Una proposta di legge in effetti già c’è, ma riposa nei cassetti delle Commissioni Trasporti e Attività Produttive della Camera dei Deputati da maggio del 2016. L’aspetto più importante riguarda il regime fiscale, dove viene operata una distinzione proprio tra chi svolge attività professionale o imprenditoriale e chi usa le piattaforme di economia della condivisione per integrare il reddito da lavoro. Al di sotto della soglia dei 10.000 euro viene applicata un’imposta del 10%, mentre i redditi superiori vengono cumulati con quelli da lavoro dipendente o autonomo per il calcolo della corrispondente aliquota. Ad uno stadio più avanzato dell’iter legislativo si trova invece la proposta di legge che regolamenta l’attività di home restaurant.


Regole che servono a tutelare i consumatori o una strozzatura dell’innovazione a vantaggio delle corporazioni? Per le piattaforme dell’economia della condivisione occorre andarci piano con i paletti legislativi, anche perché non è utopico pensare che in futuro una crescente fetta di Prodotto Interno Lordo sarà “collaborativa”.

Autore

Andrea Caruso

Nato a Benevento il 04/02/1989. Laureato in Scienze Politiche - Relazioni Internazionali presso la LUISS "Guido Carli" di Roma. Praticante del XIII Biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.