Dopo il terremoto: se a crollare non sono solo gli edifici

La distruzione dei luoghi simbolo di una città va al di là dei danni materiali. Che tipo di impatto hanno i terremoti sull’identità dei luoghi e i rapporti sociali?

La professoressa Fiorella Giacalone insegna Antropologia socio-culturale presso l’Università di Perugia. Originaria dell’Aquila, in passato ha anche studiato gli effetti del sisma sulla comunità colpita.

Che tipo di legame c’è fra i luoghi – nello specifico i luoghi con un alto valore simbolico – e chi li abita?

Una città non è soltanto un insieme di edifici. La città è una costruzione sociale, non è semplicemente una costruzione materica. Di conseguenza, un terremoto non è solo la distruzione degli edifici, ma delle relazioni sociali che ci sono dentro quegli spazi urbani.

Perché sconvolgono foto come quella della Basilica di San Benedetto distrutta a Norcia, qual è il valore di quella piazza?
Soprattutto le città del Centro Italia si riconoscono in uno spazio centrale, la piazza, che è il luogo non soltanto dell’incontro e degli eventi collettivi, ma nel quale si confrontano il potere politico e il potere religioso, il comune e le chiesa. Il senso dei luoghi è dato dalle relazioni umane e dalla loro storia, di cui i monumenti fanno molto parte. Con il terremoto si perdono due cose: la casa in senso fisico e le relazioni sociali che noi costruiamo, fra lo spazio privato e lo spazio pubblico. È come se perdessimo l’identità insieme a quella chiesa che crolla.
Come si può ricostruire avendo rispetto di questo legame culturale-identitario con i luoghi?

Il dibattito in realtà non è semplice perché è anche un conflitto di rappresentazioni del luogo, oltre che di saperi diversi. Quello che io ritengo importante come antropologa sono gli aspetti dell’abitare che dovrebbero essere sempre connessi alle culture antropologiche locali: le ricostruzioni devono essere pensate insieme a coloro che li abitano. Invece, se ne occupano solo i tecnici e i politici. Ma non siamo solo persone che abitano case, costruiamo il senso dei luoghi.

Lei è originaria de l’Aquila e se n’è occupata anche nel corso delle sue ricerche. Quel tipo di ricostruzione è un buon modello da seguire?
La scelta che è stata fatta per L’Aquila è stata una scelta calata dall’alto, con uno scarsissimo coinvolgimento della popolazione. La cosa drammatica è stata la costruzione di diciannove new town quasi tutte esterne alla città: sono solo case. Come se le persone avessero solo bisogno di stanze e non di luoghi di socializzazione. Questo ha creato una fortissima disgregazione del tessuto sociale, perché il centro storico è ancora lontano dall’essere ricostruito, mentre gli abitanti sono sparsi in una periferia enorme. È certamente un modello molto criticabile.

Autore

Serena Riformato

Nata a Massafra (TA) il 15/02/1991. Laurea Triennale in Lettere Moderne presso l'Università di Bologna. Erasmus 2012/2013: University of Edinburgh Laurea Magistrale in Italianistica presso l'Università di Bologna.